Gioco senza regole

scritto da Raskolnikov
Scritto 29 giorni fa • Pubblicato 29 giorni fa • Revisionato 29 giorni fa
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Testo: Gioco senza regole
di Raskolnikov

Gioco senza regole

Resto a osservare le forme del mio corpo, i suoi confini. Dove finiscono le dita comincia il vuoto. Siamo corpi emersi da chissà dove, forse da un mare infinitesimo.

Poi, quando penso ai vari organi dentro, mi viene il capogiro: cuore, viscere, cervello, polmoni. Ogni cosa ha una sua funzione, uno scopo. La vita è una proprietà emergente e forse, anche la realtà. 
Mi affascina la foga della gente, il non voler ammettere di essere qualcosa d'incomprensibile, ognuno a discutere con occhi espressivi, impegnarsi nella sua missione.

Ho bisogno di sentire i silenzi e poi rumore, ancora silenzi e poi ancora rumore. E' l'alternanza dei nostri bisogni contro la noia dell'insoluto. Cerco i ricami di una piazza, la leggerezza di una prigione, il valore di uno sguardo espressivo.

Torno a osservare le forme del mio corpo, che non ho creato. Gambe e braccia, occupo uno spazio, e il tempo che mi regola e mi consuma. Nel mistero che gioca con la nostra curiosità, esprimiamo tutto il nostro disagio, con sorrisi o pianti, sussurri e grida: un gioco senza regole che rischia di farci impazzire col suo incedere di effusioni e crudeltà. 

Povero ricco

Durante i primi anni di Liceo Scientifico frequentai i luoghi dei ricchi. Divenni amico di un ragazzino che abitava in villa in un luogo dove c'erano altre ville con piscina, campi da tennis, gente interessante. Il mio amico era amico di altri ragazzini ricchi e viziati con Lacoste e Fila. C'erano macchinone, Volvo, Mercedes, videogiochi di ultima generazione. Ragazzini che andavano a Cortina per le vacanze invernali. La mia casa era un tugurio, vecchia e piccola, in quell'ambiente mi sentivo inadeguato. 

Era un mondo altro nel quale potermi specchiare, vedevo il mio riflesso ondeggiare, rincasavo confuso. Vedevo mia madre cucinare in quell'ambiente da poveri e sentivo i discorsi assurdi di mio padre, illogici. Sognavo di poter un giorno entrare in quel mondo dalla porta principale, non sentirmi più inadeguato, povero. Ma, dentro di me, sentivo anche che non sarei mai appartenuto a quel mondo dorato, fatto di giardini curati e lusso. Un giorno, uno di quei ragazzini ricchi e viziati, con la sua bella stazza mi strinse a sé per gioco, graffiandomi le spalle. Per qualche strano meccanismo biologico, quei graffi rimasero come un tatuaggio. Un altro giorno mi chiese di scavalcare dalla finestra della sua villa perché non aveva le chiavi, ed aprire dalla porta principale. Era la dimora che avrei voluto abitare da grande.

Quella gente nel tempo è cresciuta, adesso sta in politica, nell'industria, è la classe dirigente. La città si è impoverita ma le loro tasche sono sempre piene di soldi, molti di loro hanno comprato titoli di studio, lauree. Col tempo ho imparato a disprezzare quelli che un tempo invidiavo, apprezzavo, ammiravo. Provo nostalgia del momento in cui rientravo nel mio tugurio e vedevo mia madre intenta a cucinare nel luogo dei poveri, lontano anni luce dai prati fioriti e dalle ville costose. 

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